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Wunderkammer

di Valeria Salvatores

La Wunderkammer o "Camera delle Meraviglie" nacque nel Cinquecento per inventariare il mondo nella sua complessità fenomenica. All'alba della nascita della scienza dominava l'illusione che Arte e Natura partecipassero di una stessa continuità, quasi come parti di un sapere unificato, di un'unica realtà da possedere e conoscere.
Il titolo di questa mostra è stato scelto per sottolineare il gusto per la Meraviglia, per quella "cultura della curiosità" che permea tanta parte del sapere del XVI e XVII secolo. Alla cultura della Meraviglia questa installazione di Vitiorio Fava si vuole riallacciare.
Le Wunderkammern erano collezioni non specialistiche, frutto di una cultura enciclopedica che mirava ad una totalità del sapere e si sviluppavano in tre branche: "Naturalia, Artifìcialia e Mirabilia" ovvero oggetti trovati nella natura ma già di per se stessi forme curiose, oppure oggetti stravaganti inventari dall'uomo, fuori della norma che suggerivano percorsi strabilianti della memoria e della fantasia con l'ausilio della cosidetta "mnemotecnica" basata su immagini da "incatenare" in successione onde poter contenere in un'unica sorta di scatola tutto lo scibile e il conoscibile. All'opera della Natura si collegava e sovrapponeva quella dell'uomo-faber, creatore: l'artista con la sua tecnica.
Ed è qui che si collega il percorso di Vittorio Fava: la sua tecnica non è mai univoca ma continuamente sperimentale e spesso contiene la memoria di tecniche, procedimenti e materiali antichi, divenendo quindi strumento espressivo fondamentale, in quanto permette l'espressione della Meraviglia e dell'Oggetto Impossibile.
L'artista come un collezionista di materiali e di tecniche compone una sorta di microcosmo, di cui l'opera rispecchia la totalità comprendendo la memoria dell'arte, la memoria della natura e la memoria dell'uomo.
Dell'allestimento della mostra fanno parte una serie di tavole riproducenti degli antichi frontespizi dei cataloghi delle Wunderkammern nate in Italia e nel nord-Europa tra il '500 e il '600. Il "Teatro della Natura" di Ferrante Imperato (naturalista napoletano dello scorcio del '500) costituisce il primo documento grafico di un interno di museo che ci sia giunto. La "Metallotheca" di Michele Mercati è indice di quella trasmutazione-trasformazione della materia attraverso l'opera dell'uomo: l'Alchimia. La tavola del Museo Levin (1706), con oggetti estratti dalla natura e raccolti in un unico mobile, rimanda ad uno dei temi fondamentali dell'opera di Vittorio Fava: il Mobile come contenitore universale, forma che sostituisce, integra e rispecchia la Camera delle Meraviglie. L'installazione con tutto il suo richiamo concettuale e mnemotecnico agli antichi prototipi, contiene al suo interno dei mobili che potremo definire quasi dei "luoghi mentali" oltreché fisici. Il mobile è metafora dall'arte secondo Vittorio Fava, la completa trasformazione metamorfica di un mobile preesistente recuperato fa scattare dei nuovi meccanismi di associazione dell'autore stesso non tanto in chiave dadaista-surrealista ma nella direzione di una vera e propria reinvenzione di un nuovo organismo estetico che comprende un'infinità di materie. Infatti l'assemblaggio dei vari materiali (caratteri tipografici, vetro, pelle, pergamena, tela) avviene quasi come in una pittura si forma l'impasto dei colori, risultandone una vera e propria scultura polimaterica che nasce dalla fusione di materiali e significati diversi. Materiali "poveri" ma recuperati e nobilitati attraverso il suo operare "febbrile" in cui riemergono ricerche e procedimenti dell'arte moderna (arte povera, arte concettuale, arte informale, allestimento dadaista) ma, contrariamente alla tendenza odierna dell'arte alla riduzione al "minimale" di negazione cioè della forma composita, qui c'è una moltiplicazione di segni, sensi, materiali e significati. L'opera è un mondo in sé concluso nel senso che poi non appartiene più nemmeno allo stesso autore ma diviene attraverso tutta una serie di invenzioni materiali e figurative - con rimandi all'inconscio - una biblioteca materializzata di innumerevoli sensazioni collettive, tanto che spesso il riguardante non viene attratto né dall'aspetto estetico, né da quello contenutistico ma quasi da una sorta di rituffarsi, rispecchiarsi in un sé stesso ma esterno da sé. Opere che lasciano liberi i suoi fruitori di fare le associazioni più diverse, che entrano decisamente in relazione con lo spazio espositivo, esaltandone le caratteristiche "storiche"; quindi l'opera d'arte non è vista come estraneazione o provocazione, ma come una sorta d'immersione nell'opera come totalità e nell'ambiente dove essa viene proposta. Difatti l'aspetto estetico di questo genere di opere nell'ambiente asettico della galleria si concentra in se stesso mentre in un ambiente di memoria visuale antica si apre al dialogo con l'ambiente stesso arricchendosi di nuovi significati.
Ecco quindi che tutta la ricchezza di sensi e di significati, non solo delle singole opere che costituiscono l'apparato allestitivo della mostra ma l'intero suo percorso passa dalla illusione alla citazione di un mondo e di una cultura d'immagine rinascimentale e barocca filtrata dallo sperimen-talismo che costituisce la radice profonda dell'operare di Vittorio Fava.

Pubblicato sul catalogo Wunderkammer. La camera delle meraviglie, in occasione della mostra tenutasi al Museo Storico dell'Arte Sanitaria di Roma nel 2003.

> Vittorio Fava

> biografia

Testi critici

> Mirella Bentivoglio
> Enrico Crispolti
> Giorgio Di Genova
Valeria Salvatores
> Stefania Severi